OLIVIERO GESSAROLI
L'equilibrio
che è armonia
Artista votato al paesaggio,
ogni paesaggio è anche un ritratto.
Chiudo con piacere la rassegna di opere e contributi critici di questo catalogo che accompagna la prima personale di Oliviero Gessaroli, artista urbinate, adriatico e con ampie e inattese memorie di terre e di mondi lontani. Personale che giunge né in fretta né tardi, a suggello di una vocazione antica e mai tradita, ed anche nel segno di un temperamento attento, paziente, mai incline a semplificazioni e a compromessi con i tempi e le stagioni che non siano quelle di giorni filtrati nello speco di uno studiolo domestico e segreto, dove la campagna di Urbino si volge ai rilievi dell’alta valle del Foglia e della prima Romagna.
È giusto che questo catalogo si chiuda con una corposa sezione delle sue opere pittoriche, dove si rinviene anzitutto la serena agnizione di un maestro (davanti ad esse non possiamo ignorare la lezione di Carlo Ceci, una delle presenze che più hanno inciso nella formazione umana e artistica di Oliviero, nei lontani anni della Scuola del Libro), ma che rappresentano anche il felice approdo a uno sguardo puro, essenziale, ormai senza più filtri e necessità di astrazioni. Uno sguardo lietamente conchiuso nel piccolo orto del foglio e però sempre aperto a un infinito di trepidazioni e di presagi.
È anche per questo che la pittura in lui non è mai un’istantanea da en plein air, né un puro esercizio di memoria. E non è nemmeno, direi, il frutto di una semplice esigenza di esprimersi, d’incidere, sia pure quando questa giunga per bisogno di compendiare o di piegare a sé la materia. È piuttosto un fatto morale ora, un suo modo di stare al mondo. Un lento e laborioso dipanarsi di percezioni che assumono di nuovo la natura della sostanza da cui provengono e si sedimentano lentamente sul foglio col pacato tumulto di una nevicata necessaria e rigeneratrice, che tace l’inessenziale e ricrea un suo universo immacolato, in tutto fedele all’antico e però totalmente differente da quello che va celando.
Solo in questa prospettiva si comprende allora la necessità dei tempi che hanno preceduto quest’ultimo della pittura. Voglio dire che Gessaroli doveva necessariamente passare per quelle stagioni in cui andava plasmando e riplasmando il suo kéramos, per giungere in pienezza a questa ora suprema e fatale del paesaggio. Che è termine e insieme principio della sua più autentica vocazione, del suo modo di guardare e di abbandonarsi alle cose, del suo modo di raccontarsi e di darsi. Cioè di amare.